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[ Non c’è pace per le materie prime, in particolare per l’acciaio ]

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Ciao, sono Riccardo.
Titolare della Cofert, insieme a mio fratello Michele e mia mamma Marisa.

Devo confessarti che ad inizio anno speravo che entro l’estate ci sarebbe stato un rallentamento di questa crescita incontrollata, ma non è stato così.

Oggi ti darò altri aggiornamenti su questo problema che sta caratterizzando il nostro settore ma che è giusto monitorare e poi condividere.
Il fatto è che le materie prime continuano a salire di prezzo e questa cosa sta rischiando di rallentare anche la transizione ecologica e digitale.

Pensa che fabbriche di elettrodomestici, mobili, alimentari, automobili, vanno a singhiozzo o si stanno fermando, proprio ora che riparte la domanda.

La questione è che pressocché tutte le materie prime sono diventate introvabili e costosissime. Gli inglesi la chiamano “everything bubble”, la bolla sui prezzi di qualunque cosa.

Per un paese trasformatore come l’Italia, che deve importare quasi tutto, sta diventando un problema serio.
Quanto sta accadendo è il risultato di tre fattori che si sommano: reali, finanziari e logistici.
Andiamo ad analizzare un po’ le cause.
Partiamo da quelle “reali”.
Nei primi mesi della pandemia i valori dei prezzi delle materie prime sono crollati del 20/30%. La Cina, che ha un’economia pianificata, ne ha subito approfittato per fare scorte, avvantaggiata anche dal fatto di essere ripartita con quattro mesi di anticipo.

Ma subito dopo i prezzi hanno ricominciato a salire e ora sono alle stelle, perché tutti i Paesi sono ripartiti di scatto, con i magazzini vuoti per colpa dell’organizzazione “just in time” (le imprese di sono abituate per essere più efficienti, a non accumulare scorte) e, quindi, adesso vanno riempiti da zero.

Poi ci sono anche le cause che hanno a che fare con i mercati finanziari.
Le materie prime sono diventate un investimento interessante, perché sono prezzati in dollari, moneta debole in questo momento, quindi sono convenienti per chi le acquista in euro o altre valute.

Inoltre: investire in titoli di Stato dà rendimenti bassissimi, quindi tanto vale mettere soldi in materie prime e sui titoli derivati a esse legati.

A tutto questo bisogna aggiungere l’aumento a dismisura dei costi di trasporto, di almeno del 60%.
Secondo il professor Achille Fornasini, docente di tecnica dei mercati finanziari a Brescia, «questa situazione si sgonfierà, perché i livelli produttivi sono ancora più bassi di quelli del 2019, quindi nel giro di alcuni mesi i prezzi scenderanno a livelli che rispecchiano la domanda reale».
Ma questo ragionamento non si applica a tutte le «commodities».

Ci sono infatti alcune materie prime necessarie in quantità mai utilizzate finora, perché sono indispensabili alle due rivoluzioni in corso nel sistema produttivo: la transizione green e quella digitale.

Parliamo di rame, litio, silicio, cobalto, terre rare, nickel, stagno, zinco. In appena un anno lo stagno, usato per le microsaldature nel settore elettronico, ha registrato un incremento del 133%, e la domanda continuerà a crescere a fronte di un’offerta contratta. Il prezzo del rame è aumentato del 115%.

Il rodio è una «terra rara» utilizzata per collegamenti elettrici e per la realizzazione di marmitte catalitiche: più 447%.
Il neodimio serve soprattutto nella produzione di super-magneti per i sistemi di illuminazione e l’industria plastica.
Richiestissimo: più 74%.
La nostra lamiera nera è aumentata del 197%.

Dobbiamo tenere duro almeno fino a settembre.

Saluti Ferrosi
Riccardo Tumedei

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